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Non vorrei svegliarmi un giorno e trovare il bar chiuso. Non tanto perché ancora c è molto da raccontare, molto sul quale indagare per ricostruire la verità, quanto perché questo vorrebbe dire che il destino di Rio si sarebbe finalmente realizzato: tutti partiti, magari oltremare, ed i pochi rimasti talmente felici o istupiditi dalle televisioni a 24 pollici da non essere più interessati ad uscire. Solo un paese di pesci e di pescatori che non amano più la luna dunque, e questo è il mio terrore, l'incubo che mi travolge più ancora del sempre immanente arrivo dell'Alga bruna, l'unico motivo che costringerebbe anche me ad andarmene ed a scrivere qui la parola fine poiché, com'è risaputo, senza bar i romanzi non possono esistere.

  Ma anche stamani mi alzo e dalla finestra vedo arrivare il furgoncino del fornaio che lascia le paste sui tavolini umidi della notte poiché è ancora troppo presto per aprire. Troppo presto soltanto però, non troppo tardi, e così anche per stanotte l'attento uditorio è assicurato ma, a proposito, dove eravamo rimasti? Già, dovevamo stabilire se Carlo approdò in S.A. o in S.A., dove le due A stanno per America e Africa, naturalmente. Ma non abbiate timore, è soltanto un gioco, dov'altro sarebbe potuto arrivare se non nella terra che come la punta di una piramide corona l'Africa, Carlo è Carlo, non sono mica due persone, e poi proprio adesso vedo spuntare Eva sulla sua bicicletta rosa che però mi pare stia trasportando in canna una ragazza assomigliante a Carla, ma sì, è proprio lei, giusto in tempo per creare un po' di confusione. Ma niente paura, la notte è notte, e prima dell'inizio di stasera entrambe saranno già scomparse che questa è Rio, diamine, non Babilonia.

 

   

 

 Coste di calcare senza neanche un fiume che le attraversi, deserti rosa che impegnano l'orizzonte, città da yankees di cristallo ed aria condizionata: niente davvero a che vedere col fatto che anche lì siamo ai tropici.

 Eppure, in un certo modo, se l'era immaginata diversa questa benedettamente bella eppur maledetta repubblica sudafricana, non certo così facile da viverci. Facile. Si fa presto a dire facile. Non proprio per rinfacciarti Eve caro Carlo, ma tu della vita ne comprendi davvero poco. Certo che è semplice per te sbarcare a Durban con l'emozione di aver doppiato il Kaap die Goeie Hoop, con negli occhi solo l'orizzonte che porta all'estremo sud, nelle mani una laurea in medicina, nel cuore un dolore d'accordo ma che tu non creda mai che la restante umanità sia felice, ed una pelle color del Mediterraneo certo ma sostanzialmente bianca. Vedi Carlo, non per fartene una colpa, noi qui in fondo siamo ignoranti e non sapremmo davvero giudicare un uomo, ma avremmo voluto vedere come ti sarebbe andata se tu, stessa laurea, stessi occhi e magari cuore infranto, fossi arrivato là provenendo non da Rio ma da Tamanrasset o magari addirittura da Bujumbura. Siamo ignoranti, è un'isola è vero, ma la diamo cento a uno che non l'avresti passata liscia.

  Facciamo quindi sbarcare il dott. Carlo Luporini, facciamolo ambientare e speriamo magari che capisca da che parte tira il vento anche perché, pur dispiacendo che accada, qui al bar stanno già nascendo mormorii del tipo se è così scemo alla fin fine Eva ha fatto bene a lasciarlo.

  Sì, proprio a Durban sbarcò, hôtel stile occidentale come da repertorio, solo che il direttore gli fece notare come, cosa strana, coincidenza bizzarra, da alcuni giorni fosse arrivata lì una ragazza che portava il suo stesso cognome. Già, ci eravamo dimenticati che Carla quasi subito abbandonò l'idea di andare in S.A. con la Croce Rossa Internazionale e, altrettanto presto, forse ubbidendo a pensieri latenti frutto di un'educazione socialista, vi si era recata sì, magari partendo da presupposti simili a quelli che nacquero in lei il giorno fatale che lesse l'articolo, ma con ben altri intenti.