23   

 

Scese dal piroscafo che era maggio. Di quale anno, e se prima o dopo di altri accadimenti, sono dettagli   insignificanti  

e del resto nessuno oggi si ricorda più niente con esattezza. Da certi punti di vista si potrebbe presumere un dopo, da altri certamente un prima. Tutto sarebbe risolto se si potesse stabilire un'esatta gerarchia temporale per i sentimenti che nascono durante un'esistenza. Ma così non è e in fondo appare poco importante chiamare un uomo padre oppure figlio, una donna la sposa di un giorno o l'amante di tutta una vita. 

Cosa interessa qui è raccontare l'esistenza sia di chi rimase a Rio che di quelli che l'abbandonarono, e anche se a volte sembrano gli stessi personaggì è solo un'illusione, non fatevi fuorviare dall'esistenza che tutto appiattisce. 

 Ma eravamo a Bahìa. Certo, e dove se non lì. Che dava sulla banchina del porto c'era naturalmente un bar. Strana sensazione, la figura del bar accomuna i giorni di ogni parte del mondo, sia un locale nordamericano da venus in furs oppure la rivendita di cachaca alla periferia di Atalaia dove la sera in fondo è bello provare a pensare a Rio e non riuscirci più. 

Sosta obbligatoria dunque al bar. Naturalmente anche tabacchi e subito comprare i mitici sigari arrotolati sulle cosce delle meravigliose mulatte, chissà se all'interno oppure all'esterno, chissà. 

Come avrete certamente già indovinato, stiamo parlando dell'arrivo in terra straniera del dott. Carlo Luporini, di quell'uomo che non scrisse mai una lettera a sua madre ed in fondo fece bene aiutandola così a dimenticarlo più in fretta.

 Il bar era quasi deserto. I sigari meravigliosi.

Carlo fece subito amicizia col barista che gli indicò una pensione interessante, naturalmente da Anita.

  Fuori c'erano dei bambini che giocavano e la pensionante era davanti all'uscio insieme a loro. Grembiule a fiori, fianchi ben evidenti, Carlo non ebbe difficoltà ad individuarla. Sì, c'erano delle camere libere.

  Ancora non se ne era reso conto bene ma fin dal momento in cui salì quelle scale, forse un po' polverose e con gli scalini di mattoni, si accorse di essere finalmente arrivato: quello era ciò che cercava, l'aria che dava l'oblio, l'atmosfera leggermente perduta dentro alla quale sola sarebbe stato possibile dimenticare una vita precedente troppo difficile da sopportare. 

   Non che Carlo volesse davvero dimenticare ciò che era stato, ma certamente desiderava che il passato sfumasse come le sigarette dei quattordici anni lasciando il posto soltanto a dei frammenti incolore che non avessero mai l'acre sapore della nostalgia. Nostalgia. E di cosa poi? 

 Fin da quando entrò nella camera con le tapparelle abbassate per fare finta che il caldo non entrasse si accorse con sollievo che ce l'avrebbe fatta, che il Mediterraneo e le feste di ferragosto in barca con le fiaccole sarebbero stati dimenticati. Il tavolo davanti alla finestra non avrebbe mai ospitato fogli con sopra scritti ricordi, brutti o belli. Non sarebbero mai state scritte lì lettere d'amore che non sortivano altro risultato delle risposte distratte fornite da donne che nella realtà non avrebbe poi davvero amato. Era certo di tutto questo il dott. Carlo Luporini, giovane laureato in medicina dai troppi amori che poi in fondo restavano soltanto le foto di lei da attaccare al pannello sul muro costruito appositamente per riflettere quegli sguardi che inesorabilmente divenivano lontani e non lasciavano proprio niente. Era sicuro che ce l'avrebbe davvero fatta, stavolta sì, e si sdraiò vestito sul letto senza paura di sgualcire il completo di panama bianco. Si addormentò quasi subito e altrettanto presto si mise a sognare, ma niente paura, sognava della ragazza cosce lunghe fianchi stretti che aveva visto soltanto di spalle sul pianerottolo della camera pochi minuti prima. Si chiamava Sandra, ma questa è un'altra storia. 

  

      

  Dopo pochi giorni che era arrivato Carlo rivide Sandra e stavolta non sul pianerottolo. Erano seduti entrambi al tavolo di cucina della signora Anita, certo anche lei presente che stava preparando ad entrambi un caffè. Ora approssimativa le dieci e trenta della mattina. Gli stacanovisti diranno che entrambi avevano ben poco da fare. Era senz'altro vero. 

 L'impressione iniziale che Carlo aveva avuto di Sandra non era stata provvisoria. Anche se, a dir la verità, la mattina dell'arrivo egli aveva focalizzato l'attenzione solo sui suoi glutei, anche l'esame complessivo si stava dimostrando ben più che soddisfacente. Bruna come da repertorio, pelle scura, seni prorompenti ma non ci focalizziamo troppo sulle descrizioni da calendario Pirelli arrivato proprio oggi al bar, certo, approssimativamente la ragazza del mese di giugno, ma basta, non facciamo i porci perché poi rischiamo di perdere il filo della narrazione. 

   Dov'eravamo? In cucina. D'accordo, in cucina, sì, ma non lo dite con quel tono stizzito. La signora Anita preparava il caffè. Loro due erano seduti al tavolo. Non riusciamo ad andare avanti perché il personaggio pare proprio essersi inebetito degli occhi della ragazza. Sveglia, dottor Carlo, un caffè in tempo reale vuol dire due o tre pagine, non possiamo dilungarci così a lungo. Infine trovò la scusa per attaccare discorso. Ovvia, ce l'ha fatta. Le chiese il nome, che peraltro già sapeva, l'età, se era fidanzata. Sandra non pareva molto disposta a farsi abbordare da quell'uomo che ai suoi occhi appariva come uno strano connubio fra un agente di borsa ed un rivoluzionario cubano, saranno stati i capelli lunghi che contrastavano con l'abito di lino stavolta crema, ma comunque, per noia o distrazione e magari sarà stata anche l'apatia da tropici troppo presto la mattina, accettò l'invito di quello sconosciuto peraltro neanche bello per trascorrere insieme la giornata. 

   Nel frattempo il caffè era stato preparato, loro l'avevano bevuto, la signora Anita aveva parlato di quella sua nipote che tanto povera donna la faceva dannare e tutti erano così pronti alla fase successiva della narrazione. Carlo e Sandra uscirono dalla pensione ed iniziarono a perdersi nella tarda mattinata di Bahìa, in quell'ora quando anche un santo si dannerebbe pur di riuscire a trovare un po' d'ombra.

Quando giriamo un film d'amore questi attimi sono quelli in cui lei si risolve a dimostrare la sua disponibilità ed il maschio finalmente sicuro di un successo inizia a farle la corte. Ma film d'amore non ne abbiamo mai girati, innanzitutto perché non ci piacciono e poi perché siamo tristemente abituati alle storie che nascono nelle estati di Rio, amori che paiono terribili e poi neanche lasciano il tempo alle cartoline per gli auguri di Natale. Ma non perché siamo così disillusi si deve credere che anche il nostro personaggio lo sia. No, Carlo era tutt'altro che sfiduciato verso l'amore mentre passeggiava accanto a Sandra, non pensava certo ad un fiasco né tantomeno agli agosti del suo paese, solo che successe, e noi, pur con tutta la buona volontà romantica di questo mondo dobbiamo per forza accettare la realtà dei fatti e narrarla così come si svolse.

    Erano seduti ad un tavolo di bar naturalmente all'aperto quando accadde. Da lì non si poteva vedere l'oceano ma è un particolare del tutto insignificante poiché Carlo non pensava all'altra parte del mare e lei del resto non c'era mai stata. Fu lì che le disse di amarla, anche se forse per eccesso di tatto non specificò la parte del corpo di lei che per prima lo aveva attratto.

    Si dirà che quantomeno tale dichiarazione appare affrettata. Puo essere, senza dubbio osservazione quanto mai pertinente ed approfondita. Solo che per lui era la pura e semplice verità. E del resto è così difficile stabilire cosa sia l'amore che illazionare sui momenti della sua nascita appare esercizio del tutto infruttuoso. Capisco che però può essere alle volte argomento degno di essere approfondito e così rimandiamo pure la narrazione per una breve discussione: lei signor Mario scriva l'ordine degli interventi e per favore rifornisca di birre l'uditorio.

 Ma intanto, mentre al bar discutevamo, là, nell'altro locale pubblico si stava consumando l'incanto. Già, perché Sandra oltre a rimanere stupita dalla dichiarazione vi rispose con un rifiuto galante ma proprio per questo ai suoi occhi ancor più atroce. Non era il momento adatto per lei, disse, in fondo non credeva ai colpi di fulmine e poi era innamorata di un altro che non la voleva è vero, o almeno la voleva a metà, alcune volte soltanto, ma proprio per questo lei, anche se non lo disse, ne era terribilmente attratta a causa dello strano esercizio per il quale non amando si è amati.

 Forse Carlo fece finta di non sentire. Del resto gli rimanevano ben poche altre possibilità. Lei continuò a parlare e gli disse da quanto tempo amava l'altro, gli spiegò come l'aveva conosciuto, che all'inizio quasi neanche gli piaceva anche se era bello, molto bello, e intanto sullo schermo passavano le immagini di altre donne, tutte con le loro particolarità ed il loro spesso per lui incomprensibile modo d'amare, avevano capelli lunghi con la frangetta o ricci dai riflessi biondi, i seni dalle mille forme, tutte gli occhi come gatte, ed erano forse le donne di Rio, magari quelle incontrate alle elementari, oppure le ragazze della costa nei loro vent'anni così fragili, non mancava loro mai il fascino e l'assoluta indifferenza nel baciare, erano insomma tutte le donne che aveva conosciuto e forse qualcuna in più ma tutte incessantemente assomigliavano a lei mani di ladra voce traditrice ma tanto affascinante o forse erano soltanto quei due bicchieri di rhum che la mattina alle volte fanno strani scherzi.

 Quando arrivò l'ora di pranzo si alzarono. Lei per tornarsene alla pensione, lui per chissà dove. La salutò con un bacio sulla guancia, non provando neanche ad intercettarle le labbra, non ne aveva proprio voglia. Lei si allontanò, ed a lui parve quasi sculettando, maledetta, imboccando uno a caso dei numerosi vicoli verso una vita che da quel momento a lui mai più sarebbe interessata. Niente da dire, almeno sapeva perdere elegantemente.

    La città lo accolse come sempre ognuna di loro sa fare nei momenti di delusione. Niente pareva come prima, ogni cosa appariva più triste e quel che è peggio priva di senso. Per lunghe ore passeggiando nelle piazze o pisolando sui muretti del porto meditò anche sul fatto se ne era valsa la pena. In fondo, pensava, le ragazze possono tradire in ogni parte del mondo: già, e allora perché me ne sono andato? Ma erano soltanto momenti sfuggenti, niente a che vedere coi suoi più profondi propositi. Carlo sapeva molto precisamente perché era lì, il motivo nient'altro che un prolungamento, un perfezionamento della sua esistenza precedente. Già, perché quando si nasce in un paese come Rio o si è sciocchi come noi e vi si resta oppure almeno si tenta la scalata all'inafferrabile, a ciò che Rio in sé contiene ma distillato in gocce di profumo illusorie. Si cerca insomma di raggiungere un luogo forse impossibile dove la dolce sonnolenza di settembre sull'isola dell'alba diviene fatto immanente, impossibile sfuggirvi. Un posto dove persino l'amore si rarefà, e in fondo di questo Sandra ne era una prova, quando la luce diviene talmente accecante da non permettere più pensieri né tantomeno ricordi. Certo, Carlo sapeva perché era lì e non sarebbero bastate cento Sandre, suvvia non esageriamo che poi subentra il collasso nervoso, a farlo demordere dal rimanervi.

Ci volle però l'intero pomeriggio per riuscire a stabilire di nuovo un rapporto profondo con la città, tutto il pomeriggio per far tornare bianco su carta bianca il nome di lei e intanto intorno i bambini giocavano con l'acqua delle fontane, i tassisti dormivano nelle loro automobili ed i venditori ambulanti continuavano a promettere meraviglie. Quando ritornò alla pensione era stremato.

    Sera 'nsieu Luporini, o forse a parlare non era stata lei ma un lontano cameriere di un albergo sudafricano, poco importa, dov'è stato tutto il giorno che l'attendevamo a pranzo? Lasci stare signora Anita, apprezzo le sue premure ma non è il caso che si preoccupi, mi piace passeggiare e così ho visitato un po' la città. Giusto, giusto, ma quando la signorina Sandra è rientrata mi chiedevo dove fosse rimasto lei. Allora insiste.

Non gli restò così altro che pasticciare delle nuove scuse e vari pretesti: con le pensionanti è un po' come con le madri, per farle tacere si è disposti ad inventare qualsiasi cosa.

    Evitate così le attenzioni della signora Anita Carlo riuscì finalmente a salire in camera, d'accordo, ma solo per un momento che tra poco serviamo la cena e le ho preparato dei piatti squisiti. Non c'è proprio niente da fare, il mondo è fatto così, grasse signore petulanti, manicaretti squisiti, ragazze brune sfuggenti e intorno soltanto nebbia.

 

     

 

 Quando siamo bambini e le zie ci portano a fare la spesa con loro non immaginiamo mai che arriverà un giorno in cui le lasceremo.

 Quando siamo bambini crediamo che ogni cosa continuerà sempre uguale.

 Ma poi cominciamo a divenire nipoti di zie anch'esse adulte.

 Anche se ancora non sappiamo che un giorno le abbandoneremo, iniziamo però a preoccuparci.

 

 Fosse l'esistenza fatta solamente di passeggiate con esse e di cinema domenicali con i loro fidanzati allora non ci sarebbe bisogno di narrare questa storia.

 Fossero i giorni soltanto partite a bocce fra le pinete di San Vincenzo e intorno i nonni a raccattar pinoli.

 Ma non è mai così, lo è soltanto per i pochi fortunati che rimangono imbecilli e credono di avere tutta la vita dieci anni.

 E in questa maniera proprio non vale perché intorno il mondo cambia lo stesso e le zie purtroppo invecchiano. Certo, meglio lasciarle che non riconoscerle più.

 No, neanche a lei Carlo scrisse mai e l'ultima volta che la vide fu in un pomeriggio d'estate a Roccastrada, lei si era tinti i capelli, se gli era fatti neri: certo, quale altro colore avrebbe mai potuto scegliere.

 E qui lui non aveva più neanche il diritto di ricordarla.

 Sarebbe stato troppo facile, andarsene e poi pensare al passato, a lei. No, tutto si poteva dire di lui ma non che fosse un pavido.

  Quindi niente tavolini sul mare e giù liquori e su ricordi.

  Doveva vivere, doveva andare oltre.

  L'unica cosa che sapeva fare era il medico. Cercò lavoro e, anche se non fu facile, dopo alcuni mesi trascorsi nell'ozio più assoluto facendosi ingrassare dalla signora Anita gli fu affidato un incarico per un paese dell'interno. Carlo era pur sempre un europeo ed a quanto pare per il governo valeva qualcosa in più.

 

 Sporca la vita che ti costringe ad approfittarti di essa.

 Prima di partire per gli altipiani decise però di fare una visita alla costa del nord e di fermarsi qualche giorno a Bahìa.

  Ma non vi preoccupate, non è un dépliant turistico, a nessuno qui al bar interessa minimamente la descrizione dei suoi spostamenti, tutti siamo ben coscienti del fatto che sono i luoghi dell'anima quelli più interessanti. In fondo, si sa, se non ci sei andato insieme a tua zia da piccolo nessuna città è degna del minimo interesse. Quindi cronaca, solo essa, e intorno palme, giungla e mare.

 

     

 

 Bahìa non gli sembrò molto diversa da quella narrata dallo scrittore sudamericano. Specialmente uguali gli parvero i paesi ad essa confinanti, con le loro spiagge di niente, i cortili freschi e dall'odore di cacao, le finestre sempre aperte con accanto le gabbie degli uccellini, le ragazze dai corpi come statue classiche, i vecchi marinai che sempre fingevano avventure che non avevano mai vissute.

 Non fu un viaggio verso la conoscenza né verso il ricordo. Pura e semplice curiosità di un animo inquieto. Ma comunque, quello che interessa principalmente a noi fu ciò che gli accadde una sera in città, tornato proprio allora da una gita pomeridiana a Jaguaripe.

 Scese dal tram che mancavano ancora alcune fermate a quella del suo albergo. L'indomani doveva ripartire e così preferì farsi a piedi qualche chilometro attraverso la frenesia del centro. Precisiamo, non certo la frenesia da metropoli occidentale, e anche se l'aria di Bahìa è davvero troppo difficile da spiegare diremo che c'era movimento sì, come magari a Milano, ma con allegria.

 

    Carlo passava accanto ai negozi e alle porte sempre aperte delle abitazioni con l'aria un po' stordita di chi si sia accorto di vivere in un posto dov'è sempre maggio. Ma anche da noi il clima d'inverno mica è tanto assassino. D'accordo, è vero, ma là è l'anima della gente ad essere sempre primaverile. Non si può però dire che qui siamo scorbutici come nei paesi dal lungo inverno. Ora basta, smettetela di fare questi sciocchi paragoni, prima di tutto perché l'aria da noi è sì simile a quella dell'altra Rio o di Bahìa ma non certo identica, e poi, soprattutto, perché la ricerca dell'abbandono può certamente essere compiuta ovunque ma altrettanto sicuramente lontano da ogni luogo che ti ricordi il passato.

    Ma dunque eravamo in Rua Sao Paulo quando accadde. E certo non sarebbe interessante da narrare si trattasse di un normale scippo. Lo strano e forse l'audace fu il fatto che a rapinare Carlo fu un uomo di nome Nicola evaso da un'isola del Mediterraneo ed arrivato lì da poche settimane. Per gli scettici che indulgevano ancora a considerarlo fatalmente colpevole ma fondamentalmente innocente fu davvero un brutto colpo. Non restò loro che arrendersi e, cambiata totalmente parte della barricata, iniziare a commentare che il lupo perde il pelo ma non certo il vizio.