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Atalaia era un inferno cromatico. Era la fine del mondo perché paese di frontiera, ma era anche l'inizio, uno dei tanti possibili. Era la corteccia delle palme invecchiate insieme agli uomini sulle loro panchine di legno sotto ad un'ombra mai avara di ricordi. Era il colore della pelle di ragazzi dagli occhi profondi come fossero d'azzurro. Era la samba dai ritornelli sempre nell'aria. Era i sorrisi e i baci assieme al sudore negli allevamenti o nelle piantagioni e, anche se nessuno lo sapeva, era una delle ultime possibilità per chiunque l'avesse incontrata.

Arrivando in treno si vedevano le baracche della periferia, non molte per la verità, perché Atalaia non era proprio il centro di niente ed era difficile che qualcuno vi ricercasse se non la ricchezza almeno la sopravvivenza. Avevano tetti di lamiere ondulate ma anche di tegole e non era raro che somigliassero a piccole case vere e proprie con mura e porte  e finestre e nonne sedute davanti su seggiole dalle gambe segate a parlare con chi passava, a discutere con i vicini sul grado di maturazione del cacao o del tempo che farà domani, a sgridare i nipoti che si spaccavano le ginocchia sui sassi, a pregare per qualsiasi sorta di santo cattolico imparentato con i riti voodoo.

Fra le baracche, o quel che parevano, e la città di calce colorata c'era poi il fiume. Era un corso d'acqua abbastanza piccolo, e del resto tutto ad Atalaia si intonava ad una sorta di mediocrità. Sopra vi scivolavano  piccole barche ma in realtà da un punto di vista economico serviva sostanzialmente a niente se non alla pesca di vecchi con canne di bambù, guance di cartone e ricordi di quand'eran bambini e poi ragazzi, e l'amore dai riccioli di brace sfavillante fra i tramonti di un inizio di secolo tanto lontano ma che pareva fosse oggi perché la memoria dei vecchi compie ellissi lunghissime dimenticando il centro delle vite che davvero è quasi sempre meritevole d'oblio e guardando solo i piccoli gesti della sopravvivenza di oggi assieme alle speranze di allora che pareva dovesse succedere chissà che cosa ma poi tutto è sempre lo stesso e viene il dubbio che forse è anche inutile e fuori luogo pensare di cambiare, magari restasse tutto uguale e soprattutto fossero rimasti uguali i lineamenti di lei, ma bando alle malinconie che adesso devo smettere di pescare e portarvi a spasso per questo paese che chissà perché vi incuriosisce così tanto, ed eccomi pronto, e mi chiedete cos'ho agli orecchi ma no che non è un apparecchio per sordi, ci sento benissimo, sono solo le minicuffie per ascoltarmi gli ultimi ritmi del tropicalismo.

La città vera e propria si era esibita negli anni lungo il percorso della linea ferroviaria e presentava così una forma quasi longitudinale con al centro una specie di gonfiore pulsante che si era esteso intorno alla stazione ed alla piazza del mercato. Le strade asfaltate erano solo le vie principali e la piazza dove peraltro sorgeva, oltre alla chiesa ed al palazzo comunale, anche il distributore di carburante. Poche palme da altopiano spuntavano qua e là da giardini nei quali si offriva invitante l'ingresso del patio e delle sue svenevolezze da amache pomeridiane di un popolo che aveva da sempre deciso che per le ore calde del giorno non c'era altro rimedio che l'ombra.

La sua fisionomia era sostanzialmente di città piatta, senza emergenze architettoniche di rilievo a parte la cattedrale settecentesca che ornava come un fregio o una voluta la tiepida aria galleggiante di umidità dove vivevano gli uomini, le galline, i bambini e i pappagalli come al solito sempre un po' scontrosi.

Atalaia era un posto dove non era ancora arrivata la prova del DNA e così ogni madre viveva felice nel sogno della possibilità che il loro grande amore avesse lasciato davvero un ricordo.

Era insomma la rivoluzione d'ottobre, il cimitero di St. Germain de Près, il giardino della scuola elementare di Guernica, il deserto dipinto dei Navajos, era il verde dei grandi golfi del nord del pianeta creati dalla glaciazione, era le bibite dai colori d'ambra nei bar di Atene, il ricordo delle trote nei laghi di Plitvice, i vapori sulfurei nella piazza di Bagnovignoni, era il salmastro respirato sul Golden Gate, era la caduta di Bisanzio, il fuoco degli accampamenti nelle foreste del Medio Evo, era mia nonna che ha sempre sostenuto come l'allunaggio dell'Apollo fosse una beffa e che non è possibile andare sulla Luna, era il canto delle ragazze fra gli scogli del Mediterraneo, la memoria folle delle anguille in viaggio verso i Caraibi, il gorgoglio frusciante delle navi degli Etruschi mentre affondavano, era la pianura e la cordigliera, il sole e il vento, l'acqua, la neve lontana, i sogni, le lacrime ed anche un bel po' di altre cose.

   

 L'aria della sera era un miscuglio di aromi quasi indecifrabili, forse era il vento che li trascinava sopra ai campi di caffè   braccia sudate al tramonto e non aver mai imparato più di quanto fosse necessario a te, piccola bianca di un paese lontano che hai le cosce dritte e sode e da stasera il ricordo di un aroma in più, qua, dove il confine è vicino e l'oceano dei secoli dei tuoi anni  da piccola amore nessuno se lo ricorda più.

    Come volete che fosse l'albergo? Niente di più di una pensione in Maremma, magari vicino a Roccastrada o a Campiglia Marittima, fra le colline di una palude che non esiste più e dove il caffè piace anche alle zanzare. Ma anche se  l'albergo era normale, eppure fu Iì che i loro destini si incrociarono, negli alberghi accade quasi sempre, e lei seppe dell'esistenza nei dintorni del paese di un uomo bianco venuto Iì per allevare mucche, suonar la chitarra la notte, scrivere lettere a nessuno e magari compiacersi del fatto che in un lontano bar dalle persiane dipinte d'azzurro si parlasse ancora di lui.

    Carla seppe che Nicola viveva Iì poco prima dl alzarsi dal tavolo dove insieme a Giancarlo stavano sorseggiando una mistura dal nome talmente impronunciabile che non si legge bene neanche qui sulla loro cartolina.

    La notizia, come vuole il repertorio, fu fornita dal barista in persona mentre Jean Charles, soprannome esotico delle notti di luna piena, parlava dei suoi affari e delle infinite possibilità di commercio che parevano aprirsi per lui In quei giorni mentre a  lei niente gliene importava e andasse pure a farsi fottere quel piccolo borghese avido che il giorno del suo primo bacio le era sembrato un uomo romantico, se ne andasse pure al diavolo che lei al momento aveva altro a cui pensare.

    Ci scusiamo a nome della protagonista per le parole un po' forti pronunciate, espressioni certo idiomatiche dovute però esclusivamente alla sorpresa, e non tanto di sapere che Iì viveva un altro italiano quanto ,capirete, per quella assurda coincidenza col nome di un padre che per quanto a lei risultava avrebbe dovuto essere in tutt'altro luogo. Eppure si sa che non c'è mai da stupirsi di niente, delle promesse non mantenute proprio all'ultimo momento, delle spiagge dove un qualsiasi padre avrebbe potuto essere un altro semplicemente per l'attrazione dovuta a un certo tipo di bikini della ragazza accanto a quella che avrebbe dovuto essere tua madre, e certo che lo era stata, perdio se lo era, e pure lui le era sempre parso unico, con le sue gite in lambretta lungo la costa e il suo parlare sempre d'altro quando lei gli chiedeva se sarebbero stati per sempre Insieme.

    Dalla finestra dell'albergo si vedeva una piazza quadrata  con ancora uomini seduti su panche di pietra ed era certo impossibile sapere di cosa mai parlassero a quell'ora di notte fonda da buio  di stiva di nave e chissà se ad attenderli a casa c'erano mogli e bambini e se loro per caso qualche volta certo molto raramente senz'altro avessero pensato che il loro ritorno fosse affatto necessario.

    Carla si distolse dall'osservazione per mettere a posto gli indumenti tolti dalle valige e giusto in tempo per accorgersi che Gianfranco guardava con fare sospetto le sue mutandine di pizzo rosa e giusto per farne che le vorresti o ti interessa solo il contenuto? Vieni qui maledetto porco che voglio farti un'amore da svenire che ti voglio portar via l'anima e poi farti addormentare come un sasso che questa notte ti giuro  davvero non potrai più dimenticarla.

 

  Arrivò così infine un'alba di mezzogiorno dai capelli spettinati e svegliarsi nuda nel letto costretta subito a pensare a come avrebbe potuto fare per incontrarlo e magari prima sapere qualcosa di più sul suo conto soprattutto il giorno in cui era arrivato lì e se aveva i capelli umidi se c'era qualche donna al  suo fianco.

    Carla si alzò dal letto facendo attenzione a non svegliare Giancarlo si vestì con cura e poi scese nella sala da pranzo dove senza niente obiettare le prepararono la colazione e sua madre che quand'era piccola avrebbe detto su non mangiare adesso che ti rovini l'appetito e lei sorrise a quel pensiero così intimo ed in fondo così banale per un luogo di cavalli impazziti dalle corse sull'altopiano e dove a nessuno in fondo importava l'orario della tua colazione tesoro e non perché non avrebbero potuto affezionarsi a te ma solo a causa di un loro saggio e morigerato pensiero: non disturbare la donna d'altri se non l'ami anche se   per un solo momento.

    L'oste le portò una porzione di dolce ed una tazza di latte, il caffè sarebbe arrivato naturalmente dopo. Carla iniziò a  mangiare ed a guardarsi intorno. Vicino a lei erano seduti due uomini che stavano giocando a carte e decise di chiedere anche a loro se sapessero qualcosa di Nicola. Risposero che sì, lo conoscevano,  o meglio, che ne avevano sentito parlare, un  gringo mezzo pazzo che però molti sostenevano fosse addirittura simpatico. No, non avevano idea da quanto fosse arrivato, forse un anno, forse due.

   Mentre Carla parlava con i due giocatori, assolutamente interessati alle loro carte e forse anche un po' scocciati dalle sue domande, intervenne nella discussione una signora che serviva ai tavoli e che aveva sentito le sue domande. Per un benevolo scherzo del destino la signora le disse che era sicura che invece   il signor Nicola era arrivato da molto più tempo ad Atalaia, perlomeno da quattro o cinque anni, e si sbagliava, certo che sì, ma in questo modo Carla fu rassicurata: non poteva trattarsi della stessa persona e anche se il nome corrispondeva e pure se magari gli somigliava, lei fu da allora certa che non fosse suo padre.

    Risalì in camera. Jean Charles delle sue notti di luna era ancora addormentato e lei gli diede un bacio sulla fronte. Il  tempo di mettere in valigia le sue poche cose ed uscì. Lui non l'avrebbe più potuta amare. Si trovò così per strada in quell'ora delle  due del pomeriggio così poco adatta per cercare qualsiasi cosa che non fosse il refrigerio dell'ombra e magari una sedia a dondolo. Trovò entrambi in un bar posto quasi alla periferia del paese e lì quindi si mise ad attendere, che arrivasse il tardo pomeriggio e magari sera dai riflessi rossi nello specchio dei   suoi occhi da gatta distratta, che passasse un uomo dal cappello bianco e floscio e con l'andatura da bufalo arrancante come hanno tutti gli uomini di Toscana.

Chiunque passò poco dopo vide così una ragazza addormentata che abbracciava la propria borsa come un tempo l'orsacchiotto di peluche che lui le regalò da piccola, una ragazza bella che si era perduta e che adesso in sogno non sapeva proprio più quale fosse casa sua e magari arrivò anche a pensare fosse sempre assomigliata ad una fattoria là, da quelle parti d'immensa pianura dove il rumore dei cavalli assomiglia a quello delle noci che rotolavano nella stiva delle navi dei primi bianchi provenienti in fuga disordinata da Genova e da Lisbona con in mente l'amore e nel cuore il ricordo dei vicoli fangosi di un medioevo a cielo aperto che poi là avrebbero ricostruito, con tutte le sue favole di principesse rapite, i suoi cannoni da operetta e l'ansia sempre immanente delle foreste intorno alle città con gli alberi di castagno delle montagne che avevano abbandonato per sempre.

   

Nicola stava sorseggiando thè sotto al loggiato ed Annelise, la sua governante, sedeva di fianco a lui costruendo una prodigiosa architettura di paradigmi gotici con un semplice gomitolo di cotone bianco e dei ferri da uncinetto, arte che le era stata tramandata da sua madre, vedrai come diventerai brava topino adorato che agli uomini piacciono tanto le donne che si occupano della casa.

Nessuno, in quell'ora di bruciore e di vento umido, sospettava che ci fosse poco lontano una ragazza che desiderava incontrarli. Non lo sospettava Andrea, che adesso si stava riposando sulle colline di fronte alla fazenda insieme ai suoi cavalli; non lo sospettava Nicola, certo sempre un po' distratto, né Annelise che avrebbe voluto solo un complimento per il suo lavoro da quell'uomo mezzo inebetito dal caldo, no, proprio non regge al clima, e dire che si dichiara un uomo di mare pensò sorridendo mentre attaccava la parte finale del suo capolavoro, o almeno così lei lo chiamava, che sarebbe servito come tenda per la finestra che dava sul piccolo giardino e non c'era davvero un posto migliore.

Le canne che crescevano in prossimità del piccolo fiume fornivano al vento vari pretesti per suoni alle volte certo un po' strani ma che proprio non riuscivano ad assomigliare per niente al rumore di una ragazza bionda in avvicinamento. E poi, diciamoci la verità, com'era possibile per la natura intuire una prossimità così ardua e figuriamoci poi per lui che presupponeva di essere praticamente irraggiungibile per chiunque avesse solo sentito parlare del Mediterraneo e dei suoi scogli di tufo, ottimo per costruirci i depositi di bottiglie nelle cantine dei bar certo ma assolutamente inadatto per sdraiarcisi sopra con le ragazze.

Così il pomeriggio se ne andava senza rilevanti segnali che potessero far prevedere, almeno in tempi brevi, un loro incontro, e certo che può anche dispiacere, non foss'altro per avere avvenimenti incalzanti che possano avvincere l'uditorio, ma la vita e il tempo sono così, decisamente poco interessati a far avverare le coincidenze di storie raccontate in notti lontane migliaia di chilometri da qui.

 

 Così, almeno per quel giorno, non si incontrarono, Anche se per un frequentatore di bar questa può apparire coincidenza fortuita ed estremamente rara nell'avverarsi, invece la realtà assume questi contorni molto più frequentemente di quanto possa immaginare chi abbia trascorso tutta l'infanzia sotto a colline di fichi a strapiombo sul mare e non certo perché gli alberi dai frutti a forma di goccia di rugiada stanca d'autunno influiscano negativamente sulle capacità prospettiche della fantasia, ma solo a causa della fisica impossibilità di misconoscersi in un paese grande quanto un cortile d'asilo, anche se c'è chi afferma che ci si può perdere in esso perché in fondo i muri con sopra i fichi d'india ed i baci dati osservando gli antipatici tramonti son sempre gli stessi, rotondi come i fianchi e le sopracciglia di chi un giorno forse anche la salutò e di lui per sempre restò soltanto il primissimo piano di quell'angolo del volto che resta sempre disteso mentre si guarda lontano.

No, non sempre si riesce ad incontrarsi, senza contare poi gli infiniti casi nei quali ci si trova una volta e poi ci si perde da lì in avanti, ma in fondo sono solo altri esempi, altre ellissi di quello sciagurato sentimento che i poeti certo con poca fantasia hanno chiamato amore e chissà se chiamarlo ricerca funzioni di più, se le cose possano riuscire ad andar meglio specie ad una ragazza addormentatasi su un altopiano scosso dagli schiaffi dell'oceano e che adesso si è svegliata, non crede ai suoi occhi guardando la notte, dio quanto ho dormito e chissà se nel frattempo lui è passato.

Ma no che non è così piccolina, certo che l'uomo che attendevi non è passato davanti a questa veranda cigolante dove sei adesso e Gianfa tra pochi minuti ti ritroverà, così abbiamo anche anticipato la prossima sequenza, non è passato semplicemente perché non poteva farlo che non aveva la compagnia adatta e poi perché, diciamolo anche se può far rabbrividire, si era ormai da lungo tempo scocciato di andare a finire le sue serate nei bar di qualsiasi paese preferendo enormemente le partite a carte con Annalise e gli altri anche se lo accusavano spesso di barare e va bè saranno stati troppo sospettosi, gentaglia da pianura di erbe secche ma in fondo simpatici, e non era è vero atteggiamento coerente per un pescatore e per un padre che all'età di dieci anni ti sfidava a tresette e chi perdeva pagava da bere ma in fondo quel signore tuo padre non era ed i pesci da un bel pezzo non se li ricordava più a parte gli sguardi sfuggenti mentre passava sopra a qualsiasi ponte verso l'acqua e le pance che bianche guizzavano per catturare i riverberi della luce insieme ai suoi ricordi di un tempo che era stato ma che era dannato e lui non voleva neanche più sentirlo rammentare se si eccettuano i sogni delle risacche d'agosto davanti a Fetovaia che dalla barca era solo una striscia colorata d'asciugamani fantasia ma in fondo anch'essi erano sempre più rari e certo tu non avresti potuto restituire ai suoi occhi il loro fascino oscillante sulla linea dell'orizzonte e allora dicci un po' perché in tutte le maniere lo vuoi incontrare per curiosità d'accordo ma stai attenta che le sorprese non si sa mai come riescono, come quella che sta per farti Gianfa arrivandoti all'improvviso alle spalle e certo che sì lo tratterai male ma non  lo maledirai perché in fondo sai che è solo un'ombra e non esiste, un ricordo, solo quello, e al diavolo davvero chi sostiene siano   la cosa più importante della vita perché non è vero importando sempre ciò che di qui a poco accadrà.

 Passarono così i giorni ed ogni attimo di essi con Gianfranco che alfine se ne andò perché in fondo i modi distratti di lei riuscirono ad annoiarlo e del resto gli amori più belli finiscono sempre così, con qualcuno che parte, anche se si potrebbe dire che Carla valeva una maggiore insistenza ma non evidentemente ai suoi occhi e così lei restò sola in quel paese che lei chiamò d'ottobre poiché i luoghi prendono sempre il nome dal periodo in cui si incontrano per la prima volta anche se fosse l'ultima certo lo vorrei vedere ma forse non restò neanche per lui immaginato sempre con un cappellaccio di paglia certamente fuori moda e dall'odore di cantina ma più semplicemente perché dopo tanto andare ci si deve fermare, anche in un luogo dove non c'è nessuno che ti conosca, e forse proprio per questo.

Dovendo sopravvivere, Carla si mise a lavorare come cameriera al ristorante da Jorge-Louis, un edificio a due piani in pieno centro di Atalaia: sotto le sale e la cucina, sopra le camere per proprietari e personale con alcune stanze per gli ospiti di passaggio che non aumentarono vertiginosamente da quando lei iniziò a  lavorarvi ma forse solo per il motivo che gli avventori erano distratti o magari ci sarebbe voluto del tempo perché la notizia divenisse di dominio pubblico ma più probabilmente in virtù del fatto che nessuno era sicuro che lei rimanesse e così ognuno poco disposto a farsi spezzare il cuore per avventure di passaggio.

Così son fatti gli uomini, tutti degli inguaribili romantici.

Il lavoro non le dispiaceva poi troppo, non era molto pesante ed aveva parecchio tempo a disposizione per lei. Fare la cameriera, in fin dei conti, non è un lavoraccio neanche da noi, ed appare improbabile che in quei luoghi dal perenne odore di tabacco potesse essere peggiore, là, quando è sempre troppo presto sia per svegliarsi che per andare a dormire e non si spera mai di incontrare il passato, qualunque dannata forma esso possa incarnare.

Eppure infine accadde, un passato che non aveva voglia di sentirsi tale e che forse neanche era vero si avvicinò all'ingresso del ristorante il cinque di febbraio e non certo perché quella fosse una data speciale ma soltanto in virtù di una cocciuta voglia di pranzar fuori che quella mattina lo avvolse mentre era in paese a far compere e certo non scordare i gomitoli di cotone, bianco mi raccomando, io dico che tra poco ti ci vorrà un telaio, e insomma niente a che vedere con Carla o, perlomeno, niente fino ad allora.

Come fece a riconoscerlo, subito, appena entrò, rimane a tutt'oggi un mistero se non vogliamo ammettere che per assioma tutti quelli che si chiamano Nicola si assomigliano solo per il fatto che tu hai un padre che si chiama così. Certo, il tipo era mediterraneo, ma in fondo in una società multirazziale come quella appare elemento poco indicativo. Vestiva di bianco come vestono i gelatai a Rio, ma quello era proprio un paragone che non c'entrava niente. Insomma per favore non andiamo fuori tema e freghiamocene di come fu possibile una tale coincidenza perché certo ben più ardua fu quella del loro incontro e poi si sta facendo tardi e tutti abbiamo voglia di sapere se almeno si parlarono, sì lo fecero, lo sai che sono nata a Rio Marina ed ho un padre che si chiama come te? Coincidenza bizzarra disse lui, anch'io ho una figlia che si chiama Carla e suppergiù ha la tua stessa età. Da quel momento in poi fra di loro fu tutto più facile.

Iniziarono così a frequentarsi in quei giorni di fine inverno ma che là è una stagione del tutto diversa dalla nostra e non ci fu davvero possibilità di equivoci, si intendevano alla perfezione.

Nacque così un amore, anche se in senso lato, una passione insomma capace di unire questi due specie di profughi da isola. Come poi andò a finire e se mai finì, e perché lo fece o meno, è cosa che la lontananza rende ogni giorno più incerta, impalpabile, come l'odore dell'acqua dei temporali dalle gocce larghe sugli immensi prati di tabacco di una primavera di là dal mondo.