Da quel giorno trascorso al bar, quando per l'unica volta negli ultimi
vent'anni a Rio era nevicato così tanto, erano passate ormai infinite attese.
Altrettanti amori erano arrivati per poi andarsene senza lasciare neanche il
ricordo della marca di sigarette che fumavano le sere ombrose da castagne secche
davanti ai fuochi d'ebano dei thè della memoria. Biondi o bruni non importa, e
insieme a loro avevano sempre portato via pezzetti di mare, ombre sulla spiaggia
le notti di Natale quando alcuni di loro suonavano chitarre dai manici sempre
orientati a sud verso l'odore acre delle alghe che stavano arrivando con un
mormorio di carri da corsa dell'oro attraverso l'aria lenta di nebbie dei mari
calmi di golfo di un'estate che non era mai più stata la tua tesoro, che era
sempre più fredda la notte dei tuoi scialli di lana fatti a mano copiati dalla
nonna e senza figli intorno ai quali avvolgerli raccontando di capitani che
inseguono sempre balene lungo la linea dell'orizzonte che poi è anche quella
del cuore, e non ce la faranno mai, certo che no perdìo troppo stanchi delle
sempre impossibili sere trascorse a giocare a carte sulla tolda con uno
sproposito di luna da mari caldi che sorrideva mentre il giorno se ne andava
insieme alla deriva verso le foci di fiumi lenti e scuri da nidi di pappagalli
colorati che ripetono il nome dei bambini mentre guardano curiosi attraverso
l'aria umida come un vapore di pastasciutta navi di legno dipinte d'azzurro e
bianco, e sono i patini delle loro vacanze con te su un'altra costa, indossando
magliette a righe stile baci di marinai oppure cos'altro, e non importa in fondo
se ti chiamarono amore, sempre persi nelle didascalie da romanzi rosa che erano
i tuoi occhi, se ti dissero che avrebbero voluto stare sempre con te in barba ad
ogni direttore di banca o generale che fosse, e anche se poi non lo fecero tu li
scusasti sempre che in fondo quando serviva avevano sempre lo sguardo di
coltello da pirata orbo con in mano pugni d'arena come se fossero granelli d'oro
da spanderti intorno al collo mentre eri sdraiata e respiravi forte non
interessandoti affatto che fosse per sempre o per poco, basta che mi baci lì,
dove la gola s'inarca, dove appoggiando le labbra e guardando oltre si vedono le
cabine vuote adesso che è notte accanto alla passeggiata del lungomare con
tutte le sue conchiglie finte e i gelati alla crema guardando in su che domani
è un altro giorno di sole siamo stati fortunati, ma dov'era mai la tua fortuna
quando loro impegnavano le strade che portavano a destra oppure a sinistra ma
mai indietro, dov'era la sorte che impediva a quei progetti d'asfalto di
protendere le loro linee verso l'acqua, che era lì dove tu vivevi con le
bollicine colorate di bottiglie di plastica da appoggiare sull'asciugamano
assieme alle creme abbronzanti, al reggipetto e agli orecchini con le perline
colorate che ti son sempre tanto piaciuti fin dal giorno in cui lui te li regalò
distratto visti su una bancarella di piazza con vicino una ferrovia di pianura
di bufali maremmani dal mantello scuro ronzante di mosche anche sotto all'ombra
delle canne, ed era forse l'uscita di un cinema chissà di che mese e di quale
tempo intermedio o no fra tutti gli anni che ho atteso l'ombra tiepida di
cappelli di paglia con sotto un sorriso che pure alle volte arrivava, fra le
anse lunghe e perduranti della bonaccia di vento quando tutto si ferma e resta
immobile fino al respiro successivo di quel mondo di barche a remi rotolanti
all'alba sulla ghiaia dove in fondo sei nata e ti piacque restare, per
continuare all'infinito a mettere fiori sui muretti intorno a casa, i gerani
della mamma, quei fiori che nessuno di loro amò mai neanche quando iniziarono
ad avere i capelli sulle tempie brizzolati di bianco e le mani da principi dei
tuoi anni di donna impegnate a dissimulare stupore per ogni racconto di mare tu
gli chiedevi che narrassero passeggiando sotto alle buganvillee viola di un
giardino da pazzi dove era quasi sempre estate ed i cani e i gatti si
rincorrevano inciampando nelle tazze da thè del giorno prima appoggiate sulle
macchie di sterco accanto alle rose ed agli albicocchi dove si poteva salir
sopra inventando il gioco del mare, un ricordo in più per ogni barca che da
lassù riuscivi a contare, e poi come al solito era subito sera e loro se ne
andavano ritornando magari da mogli che non avevano mai avuto ma ti lasciavano
tutto, dai loro gesti di ippopotami mansueti ai loro ricordi di un'infanzia
trascorsa tra macchie di ginepro e fichi d'india dalla polpa arancione
arrampicandosi a carponi fra gli alberi bassi e fitti della macchia mediterranea
fino a raggiungere la cima di colline che erano uguali da ogni parte le
guardavi, stesso mondo dappertutto e chissà mai dove cambia, e tu li salutavi
discreta giudicando la loro simpatia da come i gatti li consideravano, e intanto
come per distrazione passava il tempo da tuffi di sedicianni d'altri luoghi e
svanì quell'unico giorno di neve e non c'era più la gatta di allora e
diventavi grande e forse era rimasto il bar, e mentre ritornavi in casa,
inseguita dalle farfalle della notte che respiravano il sale e sbattevano la
testa nelle luci per la disperazione di avere per tutta la loro vita intorno
sempre e solo acqua, pensavi che alle volte non è il tempo e altre non è il
luogo e che intanto anche stasera è andata.
Diciotto anni
dopo quindi non era accaduto sostanzialmente niente, a parte la sua laurea in
medicina che l'aveva portata ad esercitare come medico generico ed a salir le
scale di dicembre di quelle case strette ed alte dove all'ultimo piano c'era
sempre un malato di quelle odiose influenze invernali che gli erano venute
proprio a noia.
C'è chi dirà
che in fondo diciottanni son pochi e non bastano neppure lontanamente a colmare
i vuoti delle centinaia di secoli fra una glaciazione e l'altra e che insomma,
sostanzialmente, nella vita ci vuol pazienza. La pazienza di sopportare un mondo
senza figli, con le esplosioni pirotecniche le notti di metà agosto e pieno di
sfaccendati che passano il loro tempo a parlar di te nei locali pubblici.
Potrebbe davvero essere diverso. Chissà come sono le lune dall'altra parte
dell'oceano o se è salata l'aria nei deserti di diamanti laggiù, alle porte
dell'Antartide.
.
Spesso, nei giorni di sole,
si addormentava in giardino e così la trovavano gli amici quando andavano da
lei. Non sempre la svegliavano, poiché per farlo ci voleva esclusivamente un
bacio, come nelle favole, e come in esse chiunque l'avesse fatto sarebbe stato
suo per sempre, o così almeno lei pensava, persa nel sonno leggero dei raggi di
sole come nei giorni quand'era ragazza ed avrebbe voluto andarsene lontano per
sempre, per salutarvi dai finestrini del traghetto e che fosse impossibile
ritornare e persino telefonarvi, ma poi non l'aveva mai fatto, chissà perché,
prima per la mamma, poi per l'università e infine per la gatta. E tu davvero,
madre mia infinitamente adorabile che non ci sei più e ti portavo il cappuccino
quand'eri all'ospedale e tu mi sorridevi e dicevi di stare attenta agli uomini e
quella strada di novembre che avrei preferito davvero fare per sempre, senza
arrendermi di fronte all'evidenza di un tuo addio fosse stato magari da una
barca mentre te ne partivi con un amore dei tuoi anni di vecchia ma che mai
aveva dimostrato un giorno di più dei vent'anni di allora quando col nonno
lavoravi la terra e raccoglievate l'uva per quel vino così aspro, e riempivate
le gerle di noci, e seccavate i fichi per l'inverno e l'aria era sempre tiepida
quand'eri giovane tu mamma che mi hai lasciato da vigliacca, quasi senza
avvertire, ed io ancora oggi non credo che tu l'abbia fatto per davvero ma che
siamo ancora insieme a raccontarti le avventure di una bambina che tornava da
scuola e che presto iniziò ad innamorarsi, e tu mi davi i consigli che non ho
mai ascoltato ma eri lo stesso la mia coscienza, e dove sei adesso che non so se
dormo e quando mi sveglio ti vorrei accanto a respirar con me quest'aria di
antica tempesta con i galeoni all'orizzonte sciabordanti di birra e di parole
oscene nel ventre umido del mondo.
Quasi sempre,
in questi suoi deliri di fine pomeriggio appena svegliata dall'aria frizzante
del tramonto che sempre porta con sé una quasi impercettibile brezza di vento,
pensava che la vita non è nient'altro che una menzogna. Si mente quando si
risponde alle maestre delle elementari sul fascino esercitato su di noi da una
poesia di un maledetto libro di testo e non di favole, si mente allora per
essere accettate da un mondo che adora soltanto gli stereotipi e poi si continua
a farlo, imperterrite, sia che si tratti del colore degli occhi di un amore che
di ciò che ti piacerà fare da grande tesoruccio, e poi divenute adulte ancora
si persegue ignobilmente la menzogna quando ci chiedono se siamo felici o se in
fondo è dura ma ci sono degli aspetti divertenti anche nel nostro lavoro. Lo si
fa non perché altrimenti il nostro inconscio subirebbe degli scompensi, ma solo
perché siamo sicure di vivere in mezzo ad un falso che, anche se atroce, è il
nostro unico e possibile mondo, a meno che.
Si
alzò, mise nella borsetta per il trucco le creme da sole, piegò la sdraio e
l'appoggiò ai pali lungo i quali si arrampicava il glicine per ritornare in
casa, lasciando al suo destino l'orizzonte, le sue fiammelle da fuochi fatui
galleggianti, i suoi raggi verdi, le sue mucche pascolanti in quella nebbia da
naviganti folli che sta fra la fine ed il principio, sempre d'azzurro si tratta
in fondo, lasciò la prospettiva dell'infinito delle sue cosce di girasole
immobile come sempre a quell'ora di sera, senza neanche salutare, come faceva
invece da bambina tutte le volte che lasciava il mare, si allontanò non
prestando attenzione allo stridio degli uccelli spaventati dall'arrivo della
notte, al cigolio degli attracchi delle barche dei ricchi e di quelle dei
poveri, stesso rumore di spavento ciondolante fra le alghe scure, e ci sarebbe
stato tempo, senz'altro, per affacciarsi un altro giorno verso tutta quella
sconcertante animosità da paese d'isola che la sera come per incanto quasi si
immobilizza mentre la luce è fioca e perfino a parlare si crede di far troppo
rumore.
I sassolini del giardino scricchiolavano sotto le sue scarpe di tela ed
i gatti le si buttavano davanti a pancia in su mentre attraversava il grigio
pallore da cantine di botti di vino bianco che erano i ricordi accanto alla
pergola adorata dal nonno, con tutte le sue cianfrusaglie di vecchio marinaio,
gli stivaloni da pesca ed il sestante che piazzava proprio lì sotto
incorniciandolo nel niente e riuscendo persino a ricavare una qualche
improbabile rotta e stavolta per seguirla davvero, viperacce tu e tua madre che
mi avete costretto a terra, ad appassire fra l'ansia dei fiori e l'incredibile
malumore di quest'ernia panciuta ed avida, ma lo sapete che non riuscirete a
fermarmi per molto, che me ne andrò e stavolta per sempre alla faccia di ogni
vostro vaso di essenze orientali da spalmarmi sul torace e di qualsiasi altro
espediente da donnicciole che il vostro posto è attendermi, nient'altro, e
sperare che la bonaccia non mi faccia ritardare oppure una tempesta spedirmi per
sempre lontano persino dai vostri ricordi, ma poi sempre si calmava ed accettava
con buonumore anche il thè galleggiante di foglie di rosa e si chiedeva se per
caso non fosse troppo amaro che basta con questa dieta da negrieri farfugliando
fra le correnti fra l'Africa e il mondo che tanto anche più magro lo so non
potrò mai più salire a bordo di quei paesaggi che voi non conoscerete mai,
l'aria infinita e tiepida di isole fugaci, le immagini di battaglie lontane con
le navi ancora piegate a torcicollo sulle secche che guardano la Corsica.
Chissà se il nonno
quand'era giovane aveva mai immaginato che avrebbe avuto una moglie e poi dei
figli ed infine una nipote che passeggiando a sera in giardino non poteva mai
fare a meno di ricordarlo, con tutte le sue sciocche frasi fatte trasparenti nei
boccali di vino le notti che precedono il carnevale e annunciano la primavera
sul mare, i suoi strafalcioni di vecchio venditore di vento, le sue grida oscene
ritornando a casa attraverso le macchie di rovi, in quell'età di mezzo che
erano i suoi cinquant'anni e portava me bambina ad ogni festa patronale chiunque
organizzasse per dire a tutti guardate com'è bella, per fortuna che non
assomiglia a me, ed ostentavi il panciotto della festa con il tuo orologione a
molla che non funzionava quasi mai ed a te niente te ne importava essendo
impossibile che delle lancette, tu dicevi, servissero per districarsi meglio in
quei ricordi di palude marcia che è la vita, ed era vero che non ti
assomigliavo vecchio bevitore bugiardo e spergiuro, che d'aspetto e di carattere
avevo preso tutto dalla famiglia della mamma e dai loro giardini di rose
rampicanti galleggianti nell'afa che quando arrivavi tu succedeva il pandemonio
e le zie si tappavano gli orecchi per non sentire le tue bestemmie urlate contro
tutti e l'odore acre dei tuoi sigari di stalla, ma era anche vero che avrei
voluto esser proprio come te, un uccello da preda distratto sventolante sugli
scogli, per imparare a giocare a biliardo con i sassi della spiaggia le notti di
bufera ed avere anch'io i capelli crespi raccogliendo gli spruzzi a prua di
quelle oscenità galleggianti che furono le barche della tua vecchiaia di
marinaio povero ma non m'arrendo cazzo, mi metto a fare il pescatore, come te
avrei voluto esser forte di fronte al distacco velato di quei fazzoletti bianchi
che tua moglie agitava nell'aria di quand'eravate giovani, e come te falsamente
rude nei modi, andate al diavolo tutti quanti caproni merdosi per non esser
costretto a dire che vi amo, che ho sempre vissuto il rimpianto di non poter
vivere con voi e crescere la bambina in quella volgarità straripante che è la
vita qui da noi ma non ce ne sono altre, davvero, con tutte le sue meschinità
di paese, gli etti di prosciutto arrosto di negozi puzzolenti d'aringhe, le
pietre dei selciati incrostate di sudicio e di sale, le ville dei ricchi che
vengon qui d'estate e non si metton la camicia neanche per entrare al bar quasi
fossero a casa propria, la sciabordante putredine delle alghe dopo i giorni di
tempesta, l'angoscioso grido degli uccelli notturni delle mie notti insonni con
il rumore della risacca che rimbomba contro i vetri, le tue foto da piccola a
scuola sul comodino, l'assuefante certezza che niente, mai cambierà.
E così anche
per stasera ti saluto nonno, essendo la tua evidenza possibile solo quando si
sta all'aperto che eri animale di tempesta e in fondo di ricordi bislacchi, ti
saluto perché sto per rientrare e stasera fa freddo, tanto freddo, e magari
accenderò il fuoco e telefonerò agli amici e forse guarderemo insieme un film
con Peter Sellers e rideremo e manderemo al diavolo i ricordi con la loro
fragranza umida di stoppie adesso che è già estate e sta per piovere sui campi
a terrazza del monte coltivati a grano.
Lungo i blocchi di roccia,
con la strada per arrivarci nascosta fra le intelaiature abbandonate di vecchi
poderi senza mai l'ombra di una casa che tutti lì hanno sempre vissuto in paese
vicino alla sicurezza infantile data dalle mure di pietra ed alle cisterne
dell'acqua, camminando oltre ogni confine che sarebbe stato logico supporre, con
le tue cosce di rosa splendente e le scarpe di tela ed i cappellini bianchi del
WWF che scomparivano nella luce accecante, mentre tutt'intorno era solo il
silenzio del vento e delle onde infinita poesia che nessuno poteva lambire se
non il movimento rotante della luce del faro proprio laggiù, in fondo
all'isola, c'era una spiaggia curvilinea e sepolta a precipizio fra le pareti di
granito dove si narrava crescesse il mirto e le acque nascondessero i segreti
dei pomodori di mare che colti donavano l'amore.
Grazia arrivò
per la prima volta in quel luogo di eterno stupore in uno di quegli anni, che
poi erano sempre stati quasi tutti, in cui aveva deciso di trascorrere le
vacanze a casa e se ne andassero tutti al diavolo con le loro vacanze usa e
getta in ogni parte del mondo. Era insieme ad alcuni amici che poi il tempo
successivo non le avrebbe mai concesso di dimenticare, Roberto, Graziano, Elisa
e Pietro, amici di quell'età strana che sono gli anni di mezzo quando tutto è
possibile ma il futuro in fondo soltanto i licheni rossastri di quella specie di
sentiero di montagna che montagna non era. Su Roberto ed Elisa c'è ben poco da
dire, si conoscevano semplicemente da sempre, fin dall'età delle gare a chi
riesce a sputare più lontano e della desolante constatazione che la vita è
sempre e solo un asilo d'infanzia, mentre per Graziano e Pietro qualcosa in più
sarebbe stato certo possibile non essendo nati sull'isola ma amici incontrati
all'università, solo che era veramente troppo caldo per riuscire anche solo a
pensarlo il loro carattere, i loro sguardi scavati nella pietra di volti
bruciati dal bianco insensibile dei primi giorni di luglio l977, già, le
piacevano entrambi.
Ci misero delle ore per
arrivare alla spiaggia e lei pensò, che cazzo, se era così difficile arrivarci
fino in fondo chissà mai come sarebbe stato possibile riuscire a ritornarci.
Attraversarono le valli bruciate di fiumi che non erano mai esistiti, guadarono
l'aria insonne di passaggi a precipizio sulla vertigine dei tuoi occhi di
bambina e ci sarebbe stato davvero bisogno di un mulo come quelli usati dai
contadini per trasportare l'invisibile legna che su quei dirupi il vento
accumulava in ordine sparso dopo averla trasportata dal mare e dalle navi gonfie
d'acqua e di semi di grano degli antichi fenici, indovinarono per caso il ritmo
di danza degli uccelli marini stagliati contro l'acuto riverbero di luce
sull'acqua ed intuirono che le loro grida erano semplicemente un modo per
salutare le dolci correnti del sud gremite di pesci enormi e fiacchi, finché si
arrampicarono attraverso osceni passaggi frastagliati dal vento oltre i quali
finalmente la terra finiva ed incominciava il silenzio.
Gli avrebbe
ricordati per un bel pezzo davvero quei giorni, anche se adesso niente gliene
importava ed erano sufficienti soltanto le risa e gli scherzi, le
rappresentazioni plastiche dei movimenti di corpi seminudi e con addosso l'ombra
sfuggente del sale, le dichiarazioni d'amore che ognuno dei ragazzi faceva ad
entrambe mettendo loro le mani nei capelli e giurando fermamente che no, non
sarebbe stato per sempre, che non dovete preoccuparvi di un legame tesori, ma
non era vero e intanto le ore passavano, la marea si abbassava lentamente e al
di là di quell'isola cenciosa aggrappata al suo mare ci sarebbero stati cento
giorni di mezzelune strabiche per riprovarci ancora mentre tu lì saresti
rimasta per sempre aspettando solo che tutto si ripetesse, che andassero a farsi
fottere i turisti d'agosto, i venditori di pesci azzurri ed ogni giardino
botanico dei tuoi inconcludenti pomeriggi di fine settimana e finalmente
ritornassero le partite a tresette le notti di capodanno dove a nessuno
importava delle geometrie di luce appassite nel cielo perché l'essenziale era
soltanto vincere, ed in caso contrario riprovarci ancora fino alla fine di tutto
il tempo che il mondo puo concederti per amare i tuoi amici che non è infinito
e nemmeno a puntate ma solo triste in fondo, come quei sacchetti di plastica
abbandonati sulla spiaggia la sera e i sassi colorati presi dai bambini dove
l'acqua si ritira che poi quando si asciugano non gli piaccion più.
Quando il tramonto iniziò ad apparire in lontananza e l'odore aspro
delle conchiglie avvolse gli ultimi spruzzi di mare, bianchi come il latte di
mamma gatta che ogni gattino certo suo malgrado non riesce a scordarsi più
ripetendo tutta la vita l'aprire e chiudersi delle zampe che gli serviva per
mangiare quando ancora aveva gli occhi chiusi, quando insomma si accorsero che
stava per arrivare la notte e che il tempo non sarebbe bastato, decisero che
sarebbero rimasti a dormire lì, forse per tentare di dimenticare tutto
aggrappandosi a quell'infinita sicurezza che sono i risvegli anche se non fra le
tue braccia adesso davvero troppo lontane e pensare che c'è stato un giorno che
mi chiamavi amore ma è stato troppo tempo fa e adesso scusa ma è sera e
dobbiamo accendere un fuoco perché le notti sul mare sono umide e dobbiamo
prendere gli ultimi baci della luce e non solo, sperando in un giorno più
bello, in una fine delle vacanze che non arrivi mai il giorno che ci perderemo,
che sfumeranno nell'apatica guazza dei pontili gli ultimi saluti, che potrebbe
essere l'ultima volta davvero e che comunque quel momento arriverà, lasciando
semplicemente stratificare nell'abbandono i nostri gesti e le nostre parole, ma
stanotte no che ancora non è il momento e allora baciatemi, abbracciatemi, che
stanotte chissà potrebbe davvero essere l'ultima, prima che ci perdiamo in
quella bonaccia inconcludente di sospiri ed uffici comunali che, lo so già,
saranno gli anni senza di voi.
Il ritorno fu breve, lo sono sempre, e così Grazia lasciò ai suoi
destini bislacchi la spiaggia dalle piccole macchie di mirto nascoste proprio a
ridosso della roccia. Ci sarebbe stato il tempo, probabilmente, per ritornarci
ancora insieme a loro o ad altri amori e, anche se così non sarebbe stato, in
fondo non c'è da farne un dramma poiché il mare da lì non se ne sarebbe
andato, incurante delle miserie e dei dolori di noi tutti, delle nostre macchine
scoperte per far colpo davanti agli uomini del bar, di ogni nostro giuramento di
fedeltà. Ci sarebbe sempre stata, nella sostanza, un'altra occasione, anche se
lei in quel momento non se ne poteva render conto, e neanche lo avrebbe fatto in
seguito, dannato tempo delle acacie in fiore, che tu possa esser maledetto per
sempre. E chissà che davvero non avesse ragione lei.
Ed arrivarono così i
minuti delle ore dei suoi giorni dei suoi anni quando tutto quello non restò
che un sogno, difficile a sbiadirsi è vero ma in fondo sempre e soltanto di
fantasie si tratta che la tua vita è qui adesso e per sempre confinata
nell'impossibile desiderio di non rispondere più al telefono immaginando
pazzescamente che sia ancora una volta lui, la tua esistenza annichilita e
fuorviata da tutto ciò che d'eroico avrebbe mai potuto esserci e costretta e
incatenata qui, fra questi tramonti ocra che pietosamente nascondono le sere
delle tue prime rughe neanche fossi un pescatore, che cazzo, ma non è l'aria di
mare amore, son solo gli anni che anche se abitavi in pianura arida di cartelli
indicando nord sarebbe lo stesso andata a finire come qui, dentro
all'impertinente nostalgia di ciò che non avrebbe mai potuto essere altrove e
tu lo sapevi, certo che sì, fra l'assurda luminescenza delle insegne dei bar le
notti dei turisti e dei gelati al limone seduti a tavolini di bambini coi
riccioli parlando loro delle immense possibilità dei luoghi dove non c'è acqua
e regna il deserto e senza continuare perché metti loro paura e poi portarli
negli unici luoghi che a sera adorano, le passeggiate del lungomare con i negozi
ancora aperti a comprar palline di plastica con dentro le foto dei ciclisti per
giocarci il giorno dopo sulla spiaggia che poi anche se non son tuoi non
importa, sempre d'infanzia d'eccitante tremore guardando le bambine si tratta,
in questo paese insomma dove tutto è troppo luminoso e la panna diventa acida
non appena montata e le case perdono l'intonaco e le ringhiere son corrose dal
sale e gli operai delle fabbriche in vacanza osano abbigliamenti inauditi e non
c'è niente che manchi d'azzurro e col passar del tempo stanca e non c'è mai un
accidente in televisione e i dischi di Lou Reed arrivano sempre in ritardo e le
barche oscillano, leggere, e l'amore che è qui è tutto quello che può
esistere sulla terra.