Quando
Nicola arrivò ad Atalaia era uno di quei giorni dispersi fra l'impaginatura dei
secoli dove nessuno avrebbe potuto dire se fosse davvero mai esistito. Altri
giorni come quello l'attendevano, e lui lo sapeva. Forse addirittura l'intera
esistenza. Magari fosse davvero così.
Non
appena fu sceso dal treno si tolse la giacca sudata e l'appoggiò sulla panchina
vicina all'uscita mettendosi a sedere. Guardando verso le rotaie si immaginò
gli infiniti uomini di nessuna o tante avventure che lì erano scesi, magari per
provare ad inventarsi una rivolta contro i proprietari terrieri oppure mentre
accompagnavano la mandria lungo il suo ondulante peregrinare da pianura a
pianura fino ai mercati del centro sud odoranti di letame e di strane piogge dal
vago aroma di zolfo, o forse ancora per incontrare un amore disperso dagli anni
e dalle lontananze reciproche all'inizio difficili da accettare ma in seguito
vissute come consolanti epiloghi di passioni fin troppo tumultuose.
Chissà
quanti erano scesi e poi ripartiti, magari credendo davvero di andarsene. E da
dove poi che a questo mondo non si sa mai niente.
Fu
in quel momento che gli venne in mente l'arrivo di Cortez in pianure del tutto
simili a quelle, o forse le stesse, e i suoi diari che parlavano dell'oro e dei
giorni quando il rumore degli uccelli pareva davvero insopportabile e sembrava
venisse non si sa bene se dall'inferno o dal paradiso. Allora anche lui li sentì,
volavano bassi ed erano in gruppo, grandi e piccoli, senza un ordine preciso né
di direzione né di formazione, ed erano d'ogni colore e correvano fra le stelle
basse di una notte in arrivo. E non c'era dubbio, il posto era quello, i rumori
inconfondibili, impossibile da spiegarsi l'atmosfera da botti ubriache rotolanti
nell'erba verso i muretti di sassi sopra ai quali sicuramente un qualche uomo
aveva giurato amore e dove oltre c'era spazio solo per il vento di un'altra
interminabile esistenza sufficientemente lontana da fargli persino venire voglia
di sorridere.
Fu
così che quella stazione di mattoni rossi dai muri sbrecciati e dagli infiniti
lamenti di poveri nella propria memoria poté divenire per lui un luogo ampio e
variegato, dagli immensi e struggenti confini, poiché il mondo è nient'altro
che come lo si immagina e Nicola quel punto della propria vita non poteva far
altro che pensarlo bello, e non perché fosse un ottimista di natura,
semplicemente non aveva altre possibilità. Stavolta, o ce l'aveva fatta sul
serio oppure era davvero finita.
Così,
non appena il sole incrociò i suoi raggi con quelli delle biciclette dei
contadini che cigolavano nell'aria di quella sera fotografata con l'effetto flou
per via dei granelli di polvere del tramonto, Nicola si alzò per raggiungere il
Sìtio de Madrugada.
Non
ci furono festeggiamenti per lui alla fattoria e del resto non se li aspettava.
Attraversò quasi furtivo il cortile della casa padronale accompagnato dall'uomo
che a quanto pareva si occupava degli alloggi, si guardò intorno per scrutare
l'ambiente ma era già notte da un bel pezzo e intorno non c'era nessuno. Questa
sarebbe stata anche la sua tendenza da allora in poi, cercare di non mettersi in
mostra, di non apparire invadente, di scomparire insomma come quella notte
azzurrina sembrava stesse facendo proprio per far piacere a lui mostrandogli
tutta la complicità che una notte, per quanto notte, può offrire.
Non
appena fu arrivato alla porta della camera, Manuel lo lasciò solo perché,
disse, aveva un mucchio di cose da fare e in fin dei conti lui non era mica il
maggiordomo. Nicola allora entrò, accese la luce, si guardò un po' intorno, si
tolse la camicia e si mise a dormire. Che bello, pensò prima di addormentarsi,
vivere in un tempo dove in fin dei conti basta solo sdraiarsi.
Nonostante
tutto, far la vita del mandriano non lo demoralizzava più di tanto. Certo, non
lavorava per conto proprio, ma non poteva neanche lamentarsi del trattamento che
quel suo omonimo così impossibile davvero da immaginarsi gli riservava ogni
giorno, ed erano certo le stese attenzioni che offriva
a tutti gli altri e pure ad ogni altra forma vivente della fattoria,
dannati poeti di pescatori, ma a lui piaceva pensare che fossero esclusive ed in
fondo andava bene così.
Certo,
in dei momenti era davvero arduo lavorare con qualcuno che portava il tuo stesso
nome, non fosse altro per la paura di confondere i reciproci ricordi, ma in fin
dei conti quello sbandato, così lo aveva definito padre Antonio nella sua
lettera di presentazione, che era nato nella sua stessa isola seppe da subito
dimostrarsi una compagnia davvero piacevole.
Nicola
e Nicola così iniziarono una nuova fase delle loro vite
non appena si incontrarono. L'uno aveva in un certo senso da espiare
e il passare i suoi giorni in quella fattoria gli sembrava l'ideale,
l'altro invece lo considerava un anello di congiunzione con il suo passato
aiutandolo a rendergli in un certo qual modo meno amaro il distacco. Non c'era
dubbio, il loro incontro fu proficuo per entrambi.
Al
di là della collina si stava spegnendo uno dei soliti
sciocchi e stereotipati tramonti rosso sangue,
sulla staccionata sostava un corvo che si stava ripulendo le penne, sotto
alla veranda il proprietario di tutta quella specie di sproposito che frantumava
ogni linea di confine dell'orizzonte se la stava spassando leggendosi un libro
di Woody Allen e come al solito dondolando un po', le galline oramai si erano
allontanate poiché avevano già cenato e forse avevano paura del buio come un
bambino di nostra conoscenza, in lontananza si sentiva rumore di cavalli, nella
cucina Annelise stava occupandosi di contenere gli aromi di un sugo
probabilmente piccante, l'aria scorreva lenta verso sud, il mondo era rotondo e,
in tutta franchezza, non c'era da meravigliarsene più d tanto.
Nicola
arrivò impolverato da una giornata di lavoro quasi sempre a cavallo, ma non
aveva voglia di andarsi subito a lavare, imboccò invece il viottolo lastricato
di pietre di fiume che conduceva all'ingresso della casa padronale e l'altro
sembrava proprio stesse ad attenderlo, e senti questa, e senti quest'altra,
questo libro è davvero uno spasso. In una cosa davvero si somigliavano, avevano
entrambi un ottimo senso dell'umorismo. Non ci fosse stato questo aspetto,
questa loro complicità verso ogni cosa facesse ridere, fossero film con Peter
Sellers oppure i banali incidenti domestici, sarebbe stato davvero arduo
cogliere in loro qualsiasi somiglianza andasse al di là dell'omonimia e di
alcuni tratti somatici che certamente erano dovuti a lontane parentele e poi, si
sa, quelli nati sulle isole si assomigliano un po' tutti. Il Nicola allevatore
era un tipi sornione che ci pensava su un bel po' prima di prendere una
decisione, aveva cadenze di vita e di movimento estremamente lente, l'altro
invece si opponeva del tutto al primo con l'estrema velocità che caratterizzava
persino i suoi stati d'animo. Ma tant'è, i loro caratteri li conosciamo
ampiamente e non è il caso di mettersi qui a specificarli troppo magari andando
a finire sui loro gusti in fatto di donne. Non importa, certo, e non lo faremo,
tanto più che entrambi si stanno già alzando dopo aver fissato che dopo cena
andranno insieme in paese, a cercar compagnia, a bere un po', magari solo a
passeggiare come forse un tempo lontano lungo i viali alberati di ciuffi radi da
lugli remoti di estati davvero di un altro mondo.
Avevano
cominciato ad uscire insieme un paio di settimane dopo che si erano incontrati.
All'inizio la loro conoscenza fu del tutto formale e persino quella sciocca
omonimia non interessò entrambi più di tanto. Fu in seguito che si accorsero
di interessarsi a vicenda, forse per la complementarità dei loro caratteri,
forse per la sensazione a volte spiacevole di essere entrambi esuli, sta di
fatto che ciascuno di loro credette davvero di avere incontrato nell'altro
quell'amico da tanto tempo cercato, e chissà che non fosse stato davvero così.
Anche
quella sera decisero che per arrivare ad Atalaia non avrebbero preso
l'automobile ma il calesse. A Nicola e Nicola non piaceva l'idea di usare l'auto
perché pensavano che quello sarebbe stato un controsenso per l'essenza stessa
del paese dove adesso vivevano. Come se tutto il mondo dovesse essere
rappresentato dagli stereotipi che vengono immaginati nei bar di Rio, e quindi
per le pianure del Brasile essersi fermate all'incirca ai primi anni del
novecento. Gusti strani senza dubbio, ma quel che era più bizzarro era che
tutti e due la pensavano alla stessa maniera.
Nei
bar di Atalaia ormai li conoscevano tutti, spesso li scambiavano per fratelli,
altrettanto frequentemente non importava a nessuno se fossero mai stati parenti.
Gli animi di quelle sere erano fatti così, alle volte predisposti agli abbracci
e a pacche sulla spalla che avrebbero fatto tremare un bue, altre invece era la
tristezza e il distacco che prevaleva ed allora non c'era niente di meglio che
mettersi a raccontare delle storie.
Emilio era il più bravo di tutti loro a narrare, aveva sicuramente un
temperamento da scrittore, anche se di lavoro faceva il fornaio, e gli piaceva
intrattenere gli amici in quelle sere infinite di sonno da bestie immaginando il
vento del nord che portava i fruscii, i mormorii, le grida di dolore della
foresta lontana.
Il
racconto di quella sera non fu improvvisato, Emilio lo aveva già scritto
diverso tempo prima ed attendeva soltanto di trovare un uditorio che fosse
disponibile ad ascoltarlo. Si trattava di una storia fantastica, ambientata su
di un'isola fugace forse in omaggio ai due nuovi amici arrivati così da
lontano, da dove anche il tempo di ricordare si increspa in strane volute d'aria
simili al fumo dei sigari che avvolgeva il locale di quella sera ed al diavolo i
non fumatori.
Ma
arriviamo al racconto, che altrimenti facciamo tardi ed Annelise è capace
addirittura di sgridarli.
«
Il paese, circondato da ogni parte dal mare, era composto da case basse dipinte
d'ogni colore. A chi arrivasse dall'acqua sarebbe così parso un luogo di gente
allegra, spiritosa, solo che nessuno era mai arrivato, e non certo perché il
luogo fosse inaccessibile, infatti mai alcuno aveva trovato difficoltà a
ritornare a casa dopo la pesca, ma semplicemente per il fatto che non vi era un
altrove dal quale un viaggiatore sarebbe potuto arrivare.
Il Mondo era così composto da un numero ben definito di case, ognuna
delle quali possedeva però in sé innumerevoli variazioni di forma le quali
permettevano agli abitanti di sbizzarrirsi a piacimento, a notte dormire nelle
stanze da thè oppure spiare da finestre rotonde, triangolari
o di ogni altra forma le alcove dei vicini e magari di sfuggita dare
anche un bacio alla sposa.
Tutto intorno vi era una sequenza
quasi infinita di spiagge d'ogni gradazione di forma e colore. Andando a destra
si poteva partire dal bianco virgineo
dei granelli d'alabastro per arrivare, dopo settimane, mesi o anni, alle scaglie
scure dei sassi che ricordavano il piombo, ed in mezzo il rosso o l'arancio, il
turchese, il violetto o il giallo delle spiagge da mezza stagione. Tanto leggero
era il cambiamento di gradazione da un golfo all'altro che si poteva partir
fanciulli sognando il bianco ed arrivare adulti al viola scuro delle processioni
senza neanche essersi accorti di aver mutato colore. Per quanto poi riguarda le
forme, anch'esse infinite, si poteva passare dalle ellissi e dal circolo fino
agli astrusi triangoli e persino alle linee, magari spezzettate da bambini che
costruivano castelli di sabbia contribuendo così all'aumento delle varietà,
all'indefinitezza delle forme stesse che nessuno sarebbe mai stato in grado di
elencare completamente.
I colori e le forme avevano poi numerose valenze simboliche, naturalmente
una per ciascuno degli abitanti e del resto anch'esse soggette a variazione a
seconda del tempo o dell'umore. C'era chi pensava che le spiagge circolari la
cui sabbia tendeva al rosso fossero i luoghi prediletti per incontrare l'amore
di ragazze, naturalmente brune, poiché per le bionde necessitavano golfi a
mezzaluna dipinti del blu profondo dovuto alle promesse non mantenute. Per altri
solo nelle spiagge d'ocra era possibile trovare nuovi amici, mentre per
mantenersi quelli vecchi erano necessari golfi frastagliati che iniziassero con
un triangolo e rilucenti d'ebano, e naturalmente andarci solo a sera facendo
finta che lei non l'abbiano mai amata. Per altri ancora poi, solo sdraiandosi
nel fucsia era possibile riuscire a narrare le storie del tempo che era stato,
ricordarsi un amico scomparso o l'insalata di gamberetti che ti faceva la
nonna, salvo poi ad ammettere l'esclusiva competenza del verde cristallo per
risolvere un'incomprensione amorosa di una lei che magari anni
prima avevi incontrato in un azzurro pallido adesso impossibile da
rintracciare.
Ogni golfo e ogni spiaggia possedevano inoltre
particolari forme di vegetazione, uniche per ogni luogo e purtroppo non sempre
intonate al colore dell'arena o al disegnò degli scogli. Naturalmente anch'esse
erano portatrici di variegate
funzioni simboliche, talmente numerose da rendere una possibile decifrazione
estremamente incerta. E c'erano così i luoghi degli anemoni di mare, per alcuni
particolarmente indicati a scrivere poesie che parlassero di lei, certo solo se
le piante crescevano su spiagge cobalto e a ridosso di scogliere a forma di
esse. Oppure venivano amate le macchie
dove cresceva l'eucalipto per le sue indubbie capacità divinatorie che però
avevano una qualche probabilità di successo solo in golfi lineari con spiagge
così lontane che a volte se ne potevano pure scordare i colori.
Come è facile intuire, l'immensa varietà di sfumature dei
luoghi e degli umori rendeva tutto così evanescente che ogni possibilità
poteva essere sfruttata, oppure esattamente il suo contrario. Così, in teoria,
sarebbero potute esistere due specie di uomini; la prima di quelli che trovavano
subito a spiaggia giusta non appena iniziavano a cercarla, la seconda di quelli
che la inseguivano per tutta La vita, abbandonando anche per anni il paese, e
naturalmente raramente riuscivano a trovare qualcosa che le somigliasse. Questo
in teoria, ma in pratica la prima categoria non aveva nei secoli trovato alcun
rappresentante mentre tutti si dibattevano eternamente nella seconda che pure,
forse perché era così assolutamente varia e soggetta ad imprevisti, a nessuno
dispiaceva poi troppo.
Con tutta questa gente a spasso alla ricerca di amori,
sensazioni e ricordi, si potrebbe pensare che il paese fosse praticamente un
luogo disabitato. Non era così o, perlomeno, non lo era più di tanto poiché
è vero che ognuno bramava le coincidenze dell'ignoto e per esse partiva in
viaggi lungo la costa, ma è altrettanto sicuro che prima o poi tutti
ritornavano, e non solo perché l'aria di casa fa sempre piacere ma anche, e
forse soprattutto, perché le geometrie e le sfumature di colori del paese
promettevano anch'esse tutta una serie di coincidenze funambolesche d'amori ed
avventure. Per alcuni ad esempio era impossibile abitare in una casa dipinta
d'arancio senza immaginare che ciò portasse nuovi amori, coincidenza del tutto
sgradevole per chi aveva già una famiglia e magari una moglie gelosa, ma non
c'era del resto da preoccuparsi poiché si trovava sempre chi abitava in una
casa azzurra e, dando all'arancio un altro significato o magari anche lo stesso,
era sempre pronto a trasferirsi. I cambiamenti di abitazione erano così fatti
di ordinaria amministrazione, ma non basta, e poiché non solo i colori avevano
un senso c'era sempre anche bisogno di particolari geometrie esterne, non
diciamo per essere soddisfatti ma almeno per trovare un po' di quiete
nell'animo, certamente sempre in attesa del prossimo immancabile cambiamento
d'umore. C'era così chi adorava vedere dalla finestra di casa una piccola
scaletta tortuosa che unita al porpora non poteva far altro che assicurare una
ricca pesca per la seconda settimana di giugno; oppure chi sentiva il bisogno di
entrare in casa da una piazzetta sulla quale sl affacciassero altre quattro
case, due dipinte di smeraldo e due color seppia, essendo così sicuro che lei
almeno per quel giorno lei non sarebbe riuscita a tradirlo. Va da sé che
l'estrema insicurezza che offrivano i contorni portava ad un'incessante lavoro
architettonico nelle vie e nelle piazze, capitelli che cambiavano fregi da
un'ora all'altra, loggiati che fiorivano all'improvviso e con la stessa facilità
scomparivano. Poiché niente era certo e l'unica verità l'insicurezza del
dubbio, ognuno degli abitanti diventò col tempo un valente architetto quanto
pescatore o viaggiatore; eppure a nessuno questa occupazione pesava o dava
problemi con gli altri: si trattava in fondo semplicemente di ricercare
l'armonia e, poiché per tutti essa aveva simboli e significati diversi, non era
mai difficile mettersi d'accordo.
Gli
unici problemi nascevano a volte sulle diverse interpretazioni dell'agricoltura.
Non tanto sulle geometrie dei campi oppure sul colore del terreno poiché per
questi aspetti era sempre possibile, come di fatto incessantemente avveniva,
scambiarsi le proprietà. I problemi nascevano piuttosto sul tipo di
coltivazioni poiché essendo anch'esse evidentemente simboliche si rischiava
continuamente di non arrivare a raccogliere i
frutti a causa delle intemperanze del proprietario di turno. Se ad
esempio un abitante era convinto che su un terreno rosso si intonasse meglio il
verde del grano, entrava immancabilmente in crisi non appena il cereale iniziava
a maturare diventando così giallo, colore che poteva anche essere
insopportabile perché unito al rosso e alla particolare geometria del campo
avrebbe impedito che la ragazza della casa accanto si potesse finalmente
innamorare di lui. Oppure poteva accadere che quando gli alberi perdevano le
foglie il marrone sovrastasse troppo le altre tonalità fino a far pensare
all'abbattimento della pianta.
Naturalmente c'era sempre la possibilità che avvenisse il
contrario e che il cambiamento fosse considerato di buon auspicio, un giorno
d'amore divenisse improvvisamente
più lungo, aumentassero le possibilità di trovare mare calmo il dodici di
agosto, supporre che a sera si sarebbe vinta una mano in più a tresette. Se
calcoliamo poi la sempre presente possibilità
di scambiarsi il campo al momento giusto, l'unico problema
rimaneva la natura, a volte addirittura più veloce di loro nel cambiare
umore e tonalità, cosa che poteva causare la perdita di interi raccolti.
Per la pesca, invece, non c'erano problemi di sorta,
Essendo infatti impossibile
stabilire a priori quali pesci sarebbero rimasti nelle reti,
la loro simbologia diveniva, per così dire, tardiva, e colpiva i
pescatori quando non c'era più niente da fare. Così semplicemente
tornavano al porto persone allegre magari perché pescare due tonni di un
certo peso implicava che il figlio sarebbe finalmente riuscito a lasciarla;
oppure tornavano persone tristi poiché gli stessi due tonni stavano a
rappresentare un sugo al pomodoro che a sera non sarebbe perfettamente riuscito.
Per le attrezzature e le barche invece, com'è da immaginarsi, nessun problema
poiché gli scambi erano sempre possibili e non era raro vedere pescatori che si
spostavano a nuoto da una barca all'altra, magari con diversi stili perché
anch'essi perfettamente simbolici.
Il mondo era così perennemente sul punto di crollare, ma
anche sempre predisposto verso l'equilibrio che, in un modo o nell'altro,
riusciva costantemente a prevalere.
Alle volte, a dire la verità, qualche scettico provò a
dimostrare che tutto questo sforzarsi verso la perfezione era cosa sciocca e
soprattutto vana. Ma erano gli scettici stessi ad arrendersi ben presto poiché
non riuscivano mai a dimostrare la realtà delle loro affermazioni di principio.
Essendo tutto infatti possibile, ogni sia pur piccola coincidenza aveva dalla
propria di essersi sicuramente, un giorno del passato o del futuro, già
realizzata e quindi di potere ancora fare altrettanto. Niente così era vano e
tutto aveva un senso, magari difficile da interpretare, sicuramente spesso
difficilissimo, ma questo non faceva altro che alimentare sempre più gli sforzi
verso la ricerca di tali rarissime interferenze tra la vita e ciò che di lei
racchiudevano i simboli.
Un simbolo per eccellenza erano i libri. Lasciando da parte
cosa poteva rappresentare o presagire leggere un determinato libro con una
precisa copertina, dentro o fuori casa, su una spiaggia invece di un'altra, gli
oggetti in sé e le parole dalle quali erano composti racchiudevano infinite
sfumature di percezioni e possibilità. Ogni parola aveva una precisa
rappresentazione simbolica e ripeterla in un dato momento della vita considerato
adatto poteva far sì che la vita stessa venisse influenzata fino ad arrivare
simmetricamente agli stessi accadimenti del libro dal quale la parola era
tratta. Accadeva così che interi libri venivano mandati a memoria e
continuamente citati, tanto da far si che alle volte ci si confondeva non
sapendo più con assoluta certezza se era la vita stessa quella che si viveva
oppure la sua citazione più o meno rappresentativa.
Succedeva anche, e del resto come avrebbe potuto essere
altrimenti, che di combinazione in combinazione romanzi completi, specie
d'amore, trovassero la loro traduzione negli accadimenti del mondo. Così a
spasso magari si poteva trovare una donna la cui vita rappresentava per intero
quella dell'eroina tragica ai un romanzo scritto un secolo prima, con lei che
tradiva il marito medico per insofferenza verso un'esistenza priva d'amore e
poi alla fine non poteva far altro che suicidarsi, delusa anche dalla sua
stessa passione. Ed il bello era che essendo tutto provvisorio e soggetto
ad interferenze, per una donna così
magnifica ce n'erano cento altre simili a lei
in tutto e per tutto se si eccettuavano la prima o magari ultima pagina
del libro rappresentato. Oppure poteva accadere, ed erano certo i casi più
frequenti, che le trame si mescolassero e che magari uno convinto a venti anni
di assomigliare al personaggio di un monaco che dedica tutta la sua vita
all'amore per un libertino, si trovasse pochi anni dopo a contrastare un altro
che allora credeva di rappresentare lo stesso libertino ed a litigare con lui
per una questione di donne.
Per i libri scientifici e le enciclopedie poi la cosa era, se
possibile, ancora più ardua. Potendo tutto a seconda delle occasioni ed umori,
tramutarsi in possibilità, nessun teorema matematico o intuizione astronomica
avevano senso ma si ingarbugliavano tra loro e le infinite ipotesi contrarie che
non avevano certo minori possibilità di essere reali. Non c'era così alcun
scienziato che avesse l'assoluta certezza di ciò che pensasse, anche perché
come al solito bastava cambiare via oppure mettere un cucchiaino di zucchero in
più nel thè perché ogni certezza dell'attimo precedente si tramutasse
improvvisamente in una mera e forse illusoria possibilità mentre la mente già
analizzava l'ipotesi successiva. Non esisteva quindi alcun libro che trattasse
di scienze il quale, come se niente fosse, non ribaltasse di pagina in pagina le
proprie conclusioni, e gli stessi scienziati, quando parlavano fra di loro,
mutavano in continuazione parere a seconda del luogo oppure dell'inclinazione
solare: niente quindi era provato con certezza e così forse per paradosso, ogni
possibile scoperta scientifica veniva tentata e realizzata.
Eppure, a volte, anche le infinite possibilità del mondo non
riuscivano a bastare.
E questo accadeva molto più frequentemente di quanto si
potrebbe immaginare.
Le possibilità in fondo non erano nient'altro che tali.
Tutt'altra cosa insomma dalle realizzazioni
Anche se si credeva che per farla innamorare bastasse
portarla su una spiaggia rosa dove
nasceva il ginepro alle sette e trenta di sera del venti agosto recitandole una
poesia, restava pur sempre l'incertezza dovuta allo scegliere quale fosse la
ragazza più adatta a sorreggere una simile architettura.
L'inutilità della vita e delle sue combinazioni si
dimostrava così spesso in maniera talmente plateale da far inorridire.
E a niente in fondo serviva affermare che quella maledetta
spiaggia rosa col ginepro tu non l'avevi mai neanche trovata in anni e anni di
peregrinazioni. Non serviva perché, probabilmente, lei non ti avrebbe baciato
neanche lì.
Tutte le straordinarie geometrie del mondo si rivelavano
insomma per quel che erano e cioè illusioni. Non sempre succedeva, è vero, e
poiché anche le illusioni hanno sentore di possibilità, a volte pure si
realizzavano. Il dubbio casomai era che avrebbero potuto farlo lo stesso
anche senza mutare continuamente casa, campo, barca, libro o spiaggia.
Casomai sarebbe occorso un mondo dove tutto ciò che
era rappresentato dall'aleatorietà
della scelta emotiva divenisse principio, regola.
Un mondo cioè dove tutto ciò che si desiderava
semplicemente si realizzasse.
E questo in fondo era il luogo dove tutti gli uomini
erano convinti di vivere: casa
loro, rosa, bianca, azzurra o turchese che fosse ».
Quando
se ne andarono dal locale di Jorge-Luis era ormai notte fonda, montarono sul
calesse a fatica per la troppa grappa e si allontanarono in quel buio folle di
metà continente. Non si erano neanche accorti che a servire ai tavoli c'era una
ragazza bionda nata in Italia. Ma probabilmente, anche se lo avessero scoperto,
non gliene sarebbe importato niente.